La mia storia è molto comune.

Da piccola sognavo di fare danza classica. Ero ipnoticamente attratta da quel mondo di eleganza. Sognavo tutu, nastri rosa, scarpette, chignon. Quando mi chiedevano “Cosa farai da grande?” rispondevo senza indugi “la ballerina“. Il vestito di Carnevale che ho indossato con più gioia è stato quello da ballerina, la bambola preferita “la Ballerina dei sogni“.

Però non ho frequentato nessuna scuola di danza durante la mia infanzia. Neanche entrata, mai messo piede. Niente di niente.

Nel mio caso, non aver fatto danza da piccola è stata solo colpa della mia timidezza: non ho avuto il coraggio di chiedere ai miei genitori di pagarmi le lezioni.

Altre bambine non hanno mai fatto danza da piccole perché non c’era una scuola vicina a casa oppure i genitori non riuscivano a far conciliare gli orari o ancora la sorella più grande faceva pattinaggio e allora la mamma le ha mandate a fare pattinaggio perché la scuola faceva gli sconti a chi iscriveva più figli….

(I bambini invece non facevano danza perché era considerata roba da femmine).

Come tutte quelle e tutti quelli che avrebbero voluto fare danza da piccole ma non l’hanno fatta sono cresciuta con questo sogno irrealizzato nella mia testa.

Benché fossi incapace di scacciare via dalla mia testa il desiderio di danzare, per tantissimi anni sono stata convinta che ormai il treno era partito e non ne passava più un altro. E non passavano neanche aerei, autobus, navi, taxi, bici, monopattini… niente di niente. Se non avevi fatto danza alle elementari non facevi più danza nella tua vita. Fine della questione. O almeno così credevo.

Passano gli anni, finisco il liceo, inizio ad andare all’università. Ho bisogno di lavoretti per pagarmi gli studi, per cercarmeli vado all’ufficio Informagiovani a leggere bacheche e giornali di annunci. E lì in mezzo a informazioni di ogni sorta trovano spazio anche i volantini delle scuole di danza. Alcuni di questi pubblicizzano corsi di danza per adulti principianti. Penso di non aver capito, rileggo bene, mi rendo conto di aver capito: non è necessario aver fatto danza da piccoli per potersi iscrivere.

Dalla scoperta all’iscrizione di tempo ne è passato, vuoi perché non ero davvero convinta che fosse possibile, vuoi perché mi sentivo goffa e mi dicevo “vabbè dai figurati se io sono capace”.

All’età di 23 anni mi iscrivo al primo corso di danza della mia vita. Classica.

I primi mesi scivolano via veloci, in un’estasi totale. Stavo vivendo il sogno della danza, c’era proprio tutto: la sala con il pavimento in parquet, la sbarra, la divisa (body blu, calze e scarpette rosa) e un insegnante rigoroso.

Per tutto il primo anno sono stata ebbra di felicità e non mi sono accorta di scricchiolii dal suono sinistro. Non erano i passi sul pavimento in parquet a provocare gli scricchiolii ma la constatazione che per l’insegnante esistevano allieve di serie A e allieve di serie B. Io ero la serie B, o forse anche C o D.

L’insegnante riservava un 70-80% della sua attenzione alle allieve di serie A e le poche reiette della serie B si dovevano spartire un misero 20-30%. Avevo la netta impressione che ci tollerasse perché facevamo numero, o meglio soldi, ma che se avesse potuto fare a meno di noi non ci avrebbe mai permesso di iscriverci alla sua scuola d’élite.

Chi erano quelle della serie A? Ovviamente le adulte che avevano fatto anni di corsi di danza nell’infanzia e nell’adolescenza. Più tardi le avrei chiamate le finte principianti. Si riconoscevano distante un miglio perché la differenza tra noi e loro era abissale. E nel caso di dubbi, bastava dare un’occhiata alla loro schiena perfettamente impostata.

Così vedevo io la situazione all’epoca, a distanza di anni mi chiedo se la mia percezione fosse sfalsata dalla mia personale insicurezza.

Fatto sta che a un certo punto la frustrazione ha la meglio sull’entusiasmo e io decido di lasciare la scuola di danza. Il settembre successivo, insieme a un’altra della serie B (che si rivelò in seguito una vera fuoriclasse), andiamo a fare la lezione di prova in un’altra scuola. Era una scuola aperta da soli due anni, la sala era piccolina e alla lezione di prova eravamo solo in quattro. L’insegnante dedica molto tempo a ciascuna di noi. Sembra una situazione perfetta, e infatti la fuoriclasse si iscrive ma per me non è fattibile. Orari e posizione della scuola mi rendono difficile arrivare in tempo per l’inizio della lezione. Avrei dovuto fare corse assurde con il rischio comunque di non farcela, e di dover saltare un numero di lezioni eccessivo.

Saluto la fuoriclasse mestamente e mi metto a cercare un’altra scuola.

Salta fuori che a due chilometri da casa mia avevano appena aperto una scuola. Non chiedo nemmeno di fare la lezione di prova: mi iscrivo subito.

L’ambiente è completamente diverso dalla scuola accademica che avevo frequentato nei due anni precedenti. Niente divisa, la sala è enorme e così pure il numero di allievi, tanto che per farci stare tutti c’è bisogno di sbarre mobili da posizionare al centro della sala.

L’età media è sui 18-20 anni. Io ne ho 26 e mi sento già la nonnina di tutti. Ed ecco perché questa differenza abissale rispetto alla precedente: è una scuola di danza moderna, hip hop e breakdance dove la classica viene insegnata solo come supplemento alle altre discipline. I giovanotti della breakdance e della modern che vengono a fare classica la fanno su spinta delle loro insegnanti. La fanno per migliorarsi negli stili che a loro interessano. A differenza della serie A della scuola precedente, questi ragazzi e queste ragazze sono davvero dei principianti nella danza classica, al pari mio, ma sono di gran lunga più flessibili, più tonici, più svegli. Già abituati a imparare intere coreografie, non ci mettono niente a imparare le brevi combinazioni alla sbarra o al centro delle lezioni di classica base che a me invece costano tanta fatica di memoria.

Sebbene l’ambiente sia informale e a suo modo accogliente, inizio molto presto a sentirmi di nuovo inadeguata. Sono anche qui il brutto anatroccolo che non diventa mai cigno. Lascio la scuola dopo pochi mesi, senza nemmeno completare un anno di corso.

Chiuso a chiave nel cassetto il sogno del tutù e delle punte, nel 2005 mi lascio trascinare da un’altra propensione, quella della musica etnica. In compagnia delle mie migliori amiche inizio a frequentare un corso di danza orientale. Siamo solo in 4, di cui una sono io e due sono le mie amiche. In quell’ambiente ultraprotetto ho imparato a fregarmene delle mie imperfezioni e a fare danza per divertimento. Dopo il corso si rimane fuori per ore. E’ in quell’anno che la danza assume il significato di collante sociale. Non è più relegata all’oretta di corso, diventa un’intera serata. Alle lezioni si affiancano gli stages, gli spettacoli da andare a vedere, i saggi da preparare e le cene etniche con l’insegnante.

Frequento corsi di danza orientale anche nel 2007 e nel 2008, ma al saggio non partecipo mai. Una volta mi iscrivo al corso troppo tardi, l’altra parto dall’Italia troppo presto. Nel maggio 2008 infatti mi trasferisco in Irlanda.

Arrivata a Dublino dopo alcuni mesi di lavoro in una piccola cittadina, inizio subito a cercarmi un corso di danza orientale. Alla classica neanche ci penso perché ormai la considero al di fuori della mia portata.

La prima insegnante si rivela una delusione (avrà influito il fatto che assomiglia in maniera sconvolgente alla mia insegnante di francese del liceo?), ma ne trovo presto un’altra alla splendida Dance House di Dublino, un luogo da sogno per tutti gli amanti della danza. Frequento i suoi corsi per un anno e mezzo, e anche in questo caso la danza svolge la funzione di collante sociale. Qui incontro le mie prime amiche di Dublino, con le quali resterò in contatto fino alla partenza. Grazie a questo corso nel marzo 2009 avviene il mio “debutto”: per la prima volta mi esibisco in pubblico durante un saggio di danza.

L’anno successivo è nefasto per la mia situazione lavorativa. Nel disperato tentativo di cambiare lavoro mi iscrivo a un corso di Photoshop. La danza dovrà aspettare tempi migliori: arriveranno nel settembre 2010 in una forma del tutto inaspettata.

A quella data ho un lavoro decente e un bel appartamentino in centro. Sono pronta per ricominciare la danza orientale, ma un’amica a cui chiedo se vuole venire mi dice: “A me ispira di più un corso di burlesque“. A me invece non ispirava per niente, ma venivo da un periodo di tanta solitudine per cui sacrifico la musica etnica in cambio di qualche ora in compagnia.

Come spesso succede, è andata a finire che la mia amica ha lasciato il burlesque dopo qualche mese mentre io ci sono rimasta per quattro anni. Nel dicembre 2012 avviene il mio secondo debutto. Questa volta mi esibisco in una fan dance di gruppo sul palco di un pub. Il pubblico è in delirio, sicuramente più per l’alcol che gli circola in corpo che per la nostra esibizione, ma è comunque una sensazione esaltante. Il burlesque non mi abbandonerà più fino alla fine della mia vita irlandese.

perfomer burlesque

Nel 2013 al burlesque si aggiunge la pole dancing. Avrei voluto anche le danze aeree, ma ci vuole un fisico bestiale e io non ce l’ho: ho mollato il cerchio dopo 5 lezioni e i tessuti dopo la prima lezione.

Di nuovo la danza mi sorprende, portandomi a fare qualcosa che non avevo considerato. Nello studio accanto a quello dove faccio lezione di pole dancing si tengono lezioni di danza classica per adulti. Ogni vado che passo davanti a quella sala mi fermo a sbirciare e mi sale l’acquolina in bocca. Nel 2014 (o forse era il 2013? O il 2015?) mi iscrivo a un corso di danza classica estivo. Quattro lezioni, una sorta di “taster” in vista della ripresa dei corsi a settembre. Non è andata poi così male, le posizioni base me le ricordavo, i nomi dei passi pure… Quel corso taster mi rimette la pulce nell’orecchio.

Nel 2016 mi trasferisco a Perugia. Ho 39 anni, lavoro da casa e non conosco nessuno. Cerco qualcosa da fare nel tempo libero per tenermi in forma e conoscere gente. Corsi di burlesque non ne trovo, l’unico corso di danza orientale che trovo ha un orario mattutino che a me non piace. Invece esiste una scuola di danza classica per adulti a soli 10 minuti a piedi da casa mia. Sembrerebbe una scelta obbligata, ma col senno di poi tornare a fare classica era esattamente quello che volevo fare. Ho avuto la fortuna di trovare le condizioni giuste per poterlo fare.

La fortuna ulteriore è che la scuola in questione era una novità, esisteva da pochi anni ed era ancora una realtà piccola, una sorta di famigliola. Non è né la scuola accademia che sforna ballerini professionisti, né la scuola di danza moderna per ventenni in super forma. Si propone esplicitamente come scuola di “danza per tutti“, un luogo dove a chiunque, a prescindere dal sesso, dall’età, dall’esperienza e dalle forme, viene concessa la gioia di danzare.

In una città in cui tutto mi ha delusa la danza è stata l’unica sorpresa positiva, che ha superato ogni mia più rosea aspettativa. All’inizio mi devo accontentare di una sola lezione a settimana perché il mio lavoro freelance ancora deve ingranare e i soldi sono pochi. Appena mi entro qualche soldino in tasca in più il numero di lezioni settimanali passa da 1 a 3.

Nel giugno 2017 arriva il mio terzo debutto, quello sognato fin dall’infanzia. Danzo sul palco di un teatro indossando un tutu.

ballerina saggio danza adulti

A quella data la scuola di danza è già diventata il mio luogo del cuore a Perugia; le lezioni, irrinunciabili, scandiscono piacevolmente la mia settimana. A volte me ne vado per lunghi periodi perché io non amo stare ferma, ma al ritorno da ogni viaggio le prime persone che vedo a Perugia sono sempre la mia insegnante e le mie compagne di danza.

Siamo al 2020. Posso dire che la danza fa parte della mia vita da quasi vent’anni. A volte ne ha fatto parte in forme frammentarie, negli ultimi quattro anni invece è stata una costante.

Considerando che ci sono donne che danzano a 60, 70 anni… ho almeno altri vent’anni di danza davanti a me! 🙂

tre costumi danza colore blu

 

photo credit: l’immagine in evidenza è di Eris Frasheri.